Secondo la tradizione Maria Salomè e Maria Jacobè furono esiliate dalla Giudea durante le persecuzioni successive alla morte di Gesù.
Le due donne, cacciate perché parenti della Santa Vergine, furono messe su una barca senza remi e vela, e, guidate dalla Provvidenza, approdarono alle rive della Camargue, proprio a Saintes-Maries-de-la-Mer.
La leggenda narra che sulla barca ci fossero anche Maria Maddalena, Lazzaro e altri discepoli, e che Sara, la loro serva nera, le aiutasse a scendere dall'imbarcazione srotolando un mantello sui flutti in preda alla tempesta.
Una diversa teoria invece vuole che Sara fosse una nobile Rom che aveva guidato la sua tribù sulle sponde del Rodano e che, avendo avuto la visione dell'arrivo delle Sante Marie, si recasse sulla riva del mare per aiutarle e accoglierle.
Di fatto mentre le due donne, per altro già anziane, stanziarono nella cittadina marittima che oggi porta il loro nome, gli apostoli iniziarono l'evangelizzazione della regione che a quel tempo era occupata dai romani.
Il 25 maggio di ogni anno la cassa con le reliquie delle Sante, scoperte nel XIV secolo e conservate nella cripta alta della chiesa la cui costruzione di architettura gotica risale al VI secolo, viene calata, con l'ausilio di corde impreziosite di fiori, nel coro dietro all'altare, ed offerte alla venerazione dei fedeli che si susseguono in continuazione durante l'arco della giornata.
Nello stesso giorno, successivamente alla funzione religiosa mattutina, la barca di legno sulla quale sono poste le statue di Maria Salomè e Maria Jacobè viene simbolicamente trasportata a spalla dagli arlésienne in costume tradizionale sulla riva del mare per ricordare l'arrivo delle Sante e della fede cattolica.
La lunga processione, formata anche da persone che trasportano stendardi e crocifissi ornati di fiori, si snoda per le vie della città ed è accompagnata da canti e preghiere fino al mare per l'immersione della barca e la benedizione del Vescovo al mare e al paese, ai pescatori e ai pellegrini.
Il giorno precedente, il 24 maggio, invece viene trasportata fuori dalla cripta bassa della chiesa la statua nera di Sara, per essere anch'essa condotta a spalla dagli zingari fino alla spiaggia dopo la messa celebrata in chiesa.
Sara la nera non è riconosciuta come Santa da nessuna confessione religiosa, eppure la chiesa cattolica che la ospita sembra tollerare il culto all’interno della propria casa in una sorta di mistica accettazione.
I gitani di ogni etnia si avvicinano continuamente con reverenza per toccare la statua, adornata da monili e mantelli sgargianti donati dalle famiglie più abbienti, in modo da testimoniare la loro presenza e riceverne la benedizione.
Anche questa folta processione è accompagnata da canti e cori che inneggiano alla Santa adottata dai gitani, e quando la statua arriva in mare si scatena un caotico disordine per la simbolica immersione nelle acque del mare.
Il rito di ritrovarsi si ripete ogni anno e nei giorni delle celebrazioni le strade e le piazzette della cittadina sono gremite di gitani che da queste parti vengono chiamati gens de voyage.
Durante i giorni di questa settimana dedicata a festeggiamenti e adorazione, centinaia di zingari si recano nella cripta bassa della chiesa per venerare la statua di Sara la nera, e altrettanti fedeli salgono le scale che conducono al coro per dire una preghiera davanti alla cassa che racchiude le spoglie delle Sante Marie.
Manouche, Rom, Zigani, Gitani si radunano nei caffè o fanno capannello all'aperto per suonare le musiche tradizionali con violini, chitarre e fisarmoniche, intonando le loro canzoni con una poetica cantilenante e drammatica.
C'è chi balla come nella migliore tradizione zingara, e ogni manifestazione sembra nascere spontaneamente, come se l'incontro inaspettato e fortuito di suonatori potesse dare vita a ballerini e cantanti, scatenando così un momento di gioia anche tra gli spettatori che inevitabilmente rimangono rapiti.
La festa nel tempo si è trasformata e non è più certo quella dei pittoreschi carrozzoni di zingari vestiti di stracci colorati, ritratti anche in famosi quadri, eppure, malgrado le moderne roulotte e l'abbigliamento prevalentemente kitsch abbiano preso il posto di quel mondo affascinante di un tempo, l'aria che si respira è rimasta amichevole: quella di condivisione di una festa.
Un momento particolarmente intenso viene toccato quando la folla, composta da zingari e cittadini locali in parte vestiti con tradizionali costumi ottocenteschi, gremisce la chiesa per le funzioni religiose ossequiate dal Vescovo e dai prelati.
Ed è allora che il luogo di culto si riempie all'inverosimile e i fedeli, mescolati a curiosi e giornalisti, si ritrovano stipati perfino sulle scale adiacenti all'altare. Tutti rispondono alle preghiere, intonano canti e negli attimi solenni alzano un cero acceso che dona all'istante un impatto emotivo molto forte a chiunque vi assista.