Da trenta a tre. Partiamo dall’Italia con un caldo asfissiante, trenta gradi con un tasso di umidità mai registrato negli ultimi trenta anni, e ci risvegliamo alle Svalbard con tre gradi.
Considerata la posizione geografica, il clima è relativamente mite, con temperature che oscillano dai -30° in inverno ai +5° in estate. In agosto è freddo per gli standard estivi del nostro paese, eppure io mi rigenero a queste temperature, e poi pensare che ci troviamo in cima al mappamondo mi dà quel senso di esploratore che sconfigge facilmente queste piccole difficoltà. In effetti questa terra così remota non è battuta dal turismo di massa, anche perché il costo della vita non è propriamente adatto a quella che generalmente chiamiamo vacanza.
Però certe volte le lussuose crociere nel Grande Nord fanno tappa anche qui, sbarcando fino a cinquemila turisti nella capitale, oltre il doppio degli abitanti, per una rapida visita giornaliera nella capitale, giusto il tempo per dire “ci sono stato”, salvo poi non sapere neppure dove si trovano, come ci racconta la cameriera filippina del ristorante di un hotel.
All’apparenza potremmo pensare a queste isole come un luogo senza frontiere, e infatti non è richiesto nessun requisito essenziale per chiedere la residenza, così come allo sbarco non vengono attuati i soliti controlli preventivi che avvengono in qualsiasi aeroporto del mondo. Eppure abitare in questi luoghi non è proprio semplice, e del resto in pochi adottano una scelta di vita così estrema.
Innanzi tutto occorre sottolineare che i visti di ingresso vengono accertati preliminarmente, ovvero negli unici due aeroporti norvegesi da cui partono i voli per le Svalbard: Oslo e Tromso. Inoltre, malgrado tutto funzioni egregiamente, i servizi presenti sono davvero minimi: un complesso sportivo polivalente con palestra e piscina rigorosamente al coperto, una scuola per l’istruzione obbligatoria primaria e secondaria, un minuscolo aeroporto privo perfino di hangar visto che gli aerei non possono neppure stazionare a terra, e un presidio sanitario riservato esclusivamente alle emergenze poiché, per cure particolari e interventi, le persone vengono trasportate sulla terraferma.
Invece curiosamente non esistono cimiteri perché non è possibile morire alle Svalbard. Infatti nel 1950, riesumando dei cadaveri, le autorità norvegesi si accorsero che i corpi non erano decomposti a causa del grande freddo che congela anche il permafrost, e che nelle vittime, perfettamente conservate, erano ancora vivi alcuni ceppi del virus che decimò la popolazione agli inizi del secolo scorso; da qui la decisione di chiudere il cimitero e vietare qualsiasi sepoltura.
Sempre per mantenere l’integrità igienica dell’arcipelago, gran parte della spazzatura viene trasportata sulla terraferma ed è severamente vietato tenere animali all’interno delle abitazioni, infatti anche i cani da slitta sono mantenuti e addestrati in speciali ricoveri adiacenti alla città. Insomma, fino a quando è possibile sostenersi, questo rimane un paradiso terrestre con un ecosistema parzialmente integro.
L’arcipelago affiora nel mezzo del mare Glaciale Artico ed è composto da diciannove isole, di cui la più grande è Spitsbergen, proprio dove sorge la capitale. Longyarbyen è l’insediamento più popoloso delle Svalbard, circa duemilaquattrocento residenti stabili, che incredibilmente sono assortiti approssimativamente in settanta etnie provenienti letteralmente da tutto il mondo. Forse è anche per questo che nel grande supermercato si trova di tutto, compreso il cibo etnico.
La prima cosa che mi colpisce è la moltitudine di motoslitte parcheggiate ovunque in città. Adesso è estate e sono tutte a riposo, posizionate su pancali di legno per proteggere i pattini, ma in inverno, quando la neve copre copiosa ogni strada e sentiero, rappresentano l’unico sistema di locomozione. Ogni persona ne possiede almeno una, altrimenti sarebbe impensabile muoversi da casa durante i lunghi e rigidi mesi di gelo, e in molti ne hanno anche due per affittare la seconda ai turisti.
Un’altra cosa che salta subito all’occhio sono i colori delle case, tenui pastelli appositamente scelti da un artista di Tromso per armonizzare le abitazioni con il territorio che non possono essere cambiati dai residenti.
Incuriosito da un articolo che avevo letto sulle enormi parabole presenti sull’isola, noleggiamo un taxi per farci portare sulle alture circostanti a Longyearbyen. Sono state impiantate qui da oltre venti anni perché, proprio grazie alla latitudine dove ci troviamo, consentono di raggiungere facilmente tutti i satelliti orbitanti sul Polo Nord. La zona è recintata e ovviamente non è possibile avvicinarsi, così non ci resta altro che fotografarle a distanza. Ma Carlos, l’autista colombiano che ci sta scortando, notando un po’ la nostra delusione, per confortarci ci informa, tra un racconto e l’altro delle vicissitudini che lo hanno portato a trasferirsi definitivamente oramai da sette anni, del sistema altamente tecnologico di doppio cablaggio sottomarino che collega le Svalbard alla terraferma, oltre duemila chilometri di fibre ottiche che consentono una connessione stabile e veloce anche nel malaugurato caso in cui i satelliti non riuscissero a garantire le comunicazioni. In compenso la vista della baia dall’alto è davvero uno spettacolo mozzafiato.
È mezzanotte e Carlos non accenna a smettere di chiacchierare, anche se da buon sudamericano ci sembra che ogni tanto esageri con le sue peregrinazioni e con le informazioni su questa terra di cui però è sinceramente innamorato. Il cielo è terso, luminosissimo, e non si ha davvero la sensazione di dover andare a dormire. Così chiediamo al nostro cortese amico di condurci fino all’ingresso dello Svalbard Global Seed Vault. Eccedendo nuovamente nella comunicazione, ci avvisa che però è impossibile entrare e che neppure un presidente della repubblica può accedervi, ma stavolta non esitiamo a credergli. Il deposito globale dei semi è una vera e propria banca della biodiversità dove sono attualmente stoccati oltre un milione di semi provenienti da ogni angolo della terra. Il deposito, inaugurato nel 2008, può arrivare a contenere quattro milioni e mezzo di semi ed è stato interamente finanziato dal governo norvegese, ma oggi è gestito da diverse organizzazioni internazionali che garantiscono la perfetta conservazione e i nuovi arrivi che incrementano continuativamente questo incredibile patrimonio della natura. Scavato all’interno di una montagna molto sopra il livello del mare per assicurare che rimanga all’asciutto, il sito è stato costruito con blocchi di cemento armato a prova di disastro atomico, ed è protetto da robuste porte di acciaio e da un sofisticato sistema di sicurezza per impedire accessi non autorizzati. L’obiettivo di questo importante progetto è quello di conservare i semi contro la perdita accidentale delle colture dell’intero pianeta.
Sorridiamo all’ingresso del supermercato Coop, non per l’insegna identica a quella italiana che già conosciamo, quanto per il cartello di divieto affisso sulla porta a vetri: vietato introdurre armi. Gli orsi polari rappresentano un pericolo reale, tanto che è vietato uscire dalla città non armati. L’ultimo attacco mortale risale al 2020, ma sono numerosi gli episodi in cui questi grandi mammiferi hanno tentato di assalire l’uomo. Gli scienziati ambientali mettono sotto accusa il surriscaldamento terrestre che, con il conseguente scioglimento dei ghiacci, riduce notevolmente il territorio di caccia degli orsi, spingendoli sempre di più ad avvicinarsi ai territori abitati dall’uomo. Eppure, malgrado il pericolo costante, è severamente vietato sparare a questi animali in via di estinzione, e anche nel caso estremo di dover abbattere un esemplare è obbligatorio comprovare l’assoluta necessità per scongiurare una severa pena detentiva.