Formalmente le Svalbard dipendono dalla Norvegia, eppure un trattato internazionale, negoziato con sacrificio, stipulato solo dopo la seconda guerra mondiale e firmato da un notevole numero di nazioni per dirimere una lunga disputa internazionale riguardo alla giurisdizione delle isole, sancisce dei precisi limiti alla sovranità nazionale. Innanzi tutto vige un divieto di militarizzazione, poi stabilisce una serie di agevolazioni fiscali per chi vi abita, ma soprattutto è ratificato il diritto di non discriminazione verso gli immigrati sia a livello umanitario che economico.
Probabilmente gli scandinavi furono i primi ad arrivare alle Svalbard, ma non esistono prove certe. Di fatto la scoperta viene attribuita all’olandese Willem Barentsz che avvistò l’arcipelago nel 1596 mentre stava cercando un passaggio verso il Polo Nord. Invece risalgono solo ai primi del secolo successivo gli sbarchi e i primi insediamenti dei cacciatori di trichechi e balene, ma l’attività fu così intensa, ingente e spietata che già alla fine del Diciottesimo secolo si era completamente esaurita.
Alla fine dell’Ottocento le Svalbard erano “terra di nessuno”, ma ai primi del Novecento la presenza di importanti giacimenti di carbone, iniziò ad attirare l’interesse di diverse nazioni. Norvegesi, inglesi e russi si insediarono nell’arcipelago, ma fu solo con l’arrivo dello statunitense Munro Longyear - da cui in seguito prenderà il nome la capitale -,titolare della Artic Coal Company, che iniziò lo sfruttamento intensivo delle risorse carbonifere. Nel tempo si sono succedute numerose controversie riguardo allo sfruttamento del terreno di questo bellissimo arcipelago, ma oggi sono poche le miniere rimaste aperte, e addirittura la Norvegia ha dichiarato che nel 2023 cesserà la propria attività estrattiva.
Contrariamente ai sei mesi di buio che vanno indicativamente da ottobre ad aprile, nei mesi relativamente più caldi in cielo c’è sempre luce. Il fenomeno viene chiamato “il sole di mezzanotte”, e anche se in effetti il sole tramonta, durante le ventiquattro ore è sempre giorno pieno.
Oltre alle balene e ai pulcinella di mare, non ci sarebbe dispiaciuto vedere anche i maestosi orsi bianchi, ma purtroppo, malgrado le ammonizioni delle guide a non scendere dalle auto e i frequenti cartelli che richiamano l’attenzione del pericolo a pochi chilometri dal centro abitato, abbiamo dovuto accontentarci soltanto di fotografare un gigantesco esemplare in acciaio all’imbocco del porto di Longyearbyen.
Ci imbarchiamo su una crociera giornaliera nell’Isfjorden per andare a vedere le meraviglie della natura di questo arcipelago. Malgrado in coperta si possa ammirare il paesaggio dai grandi vetri che circondano la sala riscaldata a dovere, preferiamo andare sul ponte dove sferzate di aria gelida ci fanno sentire più a contatto con questo ambiente. In ogni caso lo spettacolo è garantito. Le montagne erose dagli agenti atmosferici sembrano scolpite dalle mani di un artista, e ad ogni miglio marittimo ci affacciamo su scenari difficili perfino da immaginare. Tra le increspature del mare scorgiamo anche il dorso di numerose balene che sembrano giocare mentre spruzzano l’acqua con le narici. E all’improvviso ci appare lui, il ghiacciaio Nordenskioldbreen che si getta nel fiordo mostrando tutto il suo antico splendore. Il capitano spenge la barca e nel silenzio, come un relitto alla deriva, ci avviciniamo fino a poche centinaia di metri. Restiamo immobili, ipnotizzati dalla purezza del ghiaccio che in certi punti emana un intenso colore blu.