Il fumo era così denso da sembrare nebbia, ed eravamo all’aria aperta.
Incredibile, pensai, e per un attimo rimasi attonito a guardare il santone che si stava preparando un enorme chillum ricolmo di hashish; solo più tardi avrei imbracciato la macchina fotografica.
Pashupatinath è il più importante tempio induista del Nepal ed è situato lungo il corso del fiume Bagmati a Katmandu.
Il nucleo principale risale al VI secolo d.c. e l’architettura del tempio principale, consacrato ad una manifestazione di Shiva, ha la classica struttura a pagoda delle costruzioni nepalesi.
Famoso per le quotidiane cremazioni sui ghat, uno dei quali è appositamente riservato alla famiglia reale, Pashupatinath è sede di numerosi festival tra i quali il più famoso è indubbiamente lo Shivaratri.
Lo Shivaratri, letteralmente grande notte di Shiva, è una festa che celebra le nozze di Shiva, il dio creatore e distruttore, con la dea Parvati.
I sadhu provenienti da ogni parte del Paese e dall’India, si cospargono il corpo con la cenere e lo dipingono con segni colorati, e mentre i bramini leggono le sacre scritture, ognuno recita il mantra Om Namah Shiva.
Anche le donne partecipano alla festa, o meglio sono presenti visto che, raggruppate in disparte, conversano tra loro senza fumare, lavano i sari, rigovernano le poche stoviglie di latta e accendono i fuochi per riscaldarsi in questa gelida temperatura di metà febbraio.
Il giorno che precede la notte cultuale viene osservato un totale digiuno, rotto soltanto il pomeriggio seguente quando gli inservienti del tempio distribuiscono il cibo in parche dosi precedentemente cucinate in grandi pentoloni nelle aree del tempio dedicate al festival.
Intanto le scimmie, voraci come sempre, saltellano indisturbate da un muro a una statua nelle loro rapaci scorribande in cerca di mangiare da arraffare, e ovviamente è alquanto pericoloso avvicinarle.
L’ultimo giorno una folla ordinata in lunghissime file si reca al tempio principale per venerare il lingham di pietra scolpito, una delle forme di Shiva.
In Nepal è vietato l’uso di stupefacenti, eppure durante i tre giorni di festa è tollerata l’assunzione e lo scambio di marijuana all’interno delle mura di questo antico tempio, tanto antico quanto le sue ancestrali consuetudini nelle celebrazioni dei riti.
Tutti fumano in quantità inimmaginabili fino al completo stordimento perché si dice che il gesto faccia piacere al dio Shiva: il potere della religione divina che prevarica le leggi terrene.
Dopo tre intensi giorni, uscendo dal tempio avevo gli occhi gonfi e irritati dal fumo, ma anche la consapevolezza che le immagini dell’umanità, scalza, coperta di stracci e ricca solo di fede interiore, sdraiata su quei gradini sarebbero rimaste indelebili nella mia memoria di viaggiatore curioso e affascinato dalle usanze e abitudini del mondo.
Il fumo era così denso da sembrare nebbia, ed eravamo all’aria aperta.
Incredibile, pensai, e per un attimo rimasi attonito a guardare il santone che si stava preparando un enorme chillum ricolmo di hashish; solo più tardi avrei imbracciato la macchina fotografica.
Pashupatinath è il più importante tempio induista del Nepal ed è situato lungo il corso del fiume Bagmati a Katmandu.
Il nucleo principale risale al VI secolo d.c. e l’architettura del tempio principale, consacrato ad una manifestazione di Shiva, ha la classica struttura a pagoda delle costruzioni nepalesi.
Famoso per le quotidiane cremazioni sui ghat, uno dei quali è appositamente riservato alla famiglia reale, Pashupatinath è sede di numerosi festival tra i quali il più famoso è indubbiamente lo Shivaratri.
Lo Shivaratri, letteralmente grande notte di Shiva, è una festa che celebra le nozze di Shiva, il dio creatore e distruttore, con la dea Parvati.
I sadhu provenienti da ogni parte del Paese e dall’India, si cospargono il corpo con la cenere e lo dipingono con segni colorati, e mentre i bramini leggono le sacre scritture, ognuno recita il mantra Om Namah Shiva.
Anche le donne partecipano alla festa, o meglio sono presenti visto che, raggruppate in disparte, conversano tra loro senza fumare, lavano i sari, rigovernano le poche stoviglie di latta e accendono i fuochi per riscaldarsi in questa gelida temperatura di metà febbraio.
Il giorno che precede la notte cultuale viene osservato un totale digiuno, rotto soltanto il pomeriggio seguente quando gli inservienti del tempio distribuiscono il cibo in parche dosi precedentemente cucinate in grandi pentoloni nelle aree del tempio dedicate al festival.
Intanto le scimmie, voraci come sempre, saltellano indisturbate da un muro a una statua nelle loro rapaci scorribande in cerca di mangiare da arraffare, e ovviamente è alquanto pericoloso avvicinarle.
L’ultimo giorno una folla ordinata in lunghissime file si reca al tempio principale per venerare il lingham di pietra scolpito, una delle forme di Shiva.
In Nepal è vietato l’uso di stupefacenti, eppure durante i tre giorni di festa è tollerata l’assunzione e lo scambio di marijuana all’interno delle mura di questo antico tempio, tanto antico quanto le sue ancestrali consuetudini nelle celebrazioni dei riti.
Tutti fumano in quantità inimmaginabili fino al completo stordimento perché si dice che il gesto faccia piacere al dio Shiva: il potere della religione divina che prevarica le leggi terrene.
Dopo tre intensi giorni, uscendo dal tempio avevo gli occhi gonfi e irritati dal fumo, ma anche la consapevolezza che le immagini dell’umanità, scalza, coperta di stracci e ricca solo di fede interiore, sdraiata su quei gradini sarebbero rimaste indelebili nella mia memoria di viaggiatore curioso e affascinato dalle usanze e abitudini del mondo.