Oh! Ne ho conosciuti molti di viaggiatori in tante esperienze di viaggi, ma oggi non vorrei viaggiare con altri che con Lucia. Con lei ogni viaggio diventa meraviglioso. Ecco, ora lo ho detto e sottoscritto.

Non lo ho scelto, è capitato. È sempre un caso che le persone si incontrino, ma poi è per affinità che si sta insieme, percorrendo pezzi di strada assieme. Così Lucia è la mia compagna di vita, di vita e di viaggio, di tante avventure in giro per il mondo.

Lucia porta il sorriso ovunque. Non si tratta di una maschera da idiota perennemente stampata sulla faccia, quanto piuttosto di uno stato interiore che risiede nel cuore e si riflette sul volto, un modo di interpretare la vita con gioia e di carpire in ogni situazione il lato positivo.

Se dovessi sintetizzare in una parola il senso del mio peregrinare, questa parola sarebbe “incontro”. Ecco, Lucia interpreta istintivamente, senza alcuna costruzione o costrizione, questo senso del movimento. E forse è proprio per questo concetto, legato alla visione dell’umanità, che in viaggio, come lei stessa lo definisce, siamo innanzi tutto una “squadra”, una squadra che si muove all’unisono.

Prima ancora dei selfie, vuoti e destinati all’oblio, prima dei ritratti sconvolgenti, indirizzati all’effimera gloria dei concorsi fotografici piuttosto che dei “like sui social”, ci adoperiamo per un approccio empatico verso le persone che incrociamo, sia che si tratti di fugaci incontri, sia di amicizie che si perpetreranno nel tempo.

Spesso ho ritrovato Lucia abbracciata a donne appena incontrate. Quasi sempre l’ostacolo della lingua, apparentemente insormontabile, si sgretola con un gesto e un sorriso. È una magia che inaspettatamente si rinnova ogni volta, e ogni volta mi meraviglio, eppure funziona. E dietro le fotografie che scatto c’è il pensiero che fondamentalmente le persone non si odiano, e basta poco per rompere scetticismi e disuguaglianze. Tante volte, davanti alle scene di incredibili incontri, mi è capitato di ricordare la citazione di un film che ha particolarmente colpito i miei sentimenti: “Sopra ad ogni cosa c’è la legge. Sopra la legge c’è l’umanità”.

La Lucia che riconosco sempre è quella che stringe le mani a disgraziati e straccioni, anziani e derelitti, afflitti e diseredati, a coloro che i turisti scansano come la peste. È un dono che abbiamo ricevuto quello di sapere sorridere, ma è uno di quei doni che vanno sinceramente condivisi, donati a nostra volta al prossimo, elargiti generosamente proprio per dimostrare che siamo tutti esseri umani che coabitano sulla stessa terra.

Sfoglio il vasto archivio per cercare alcune immagini da accompagnare a queste parole, per completezza, perché le une senza le altre, e viceversa, mi hanno sempre lasciato la sensazione dell’incompiuto. E qui la ritrovo sotto molteplici manifestazioni, ma sempre la stessa persona, animata dal medesimo spirito: la felicità di esserci, la gioia di conoscersi, la meraviglia di scoprire. Per carità, sono solo alcuni degli innumerevoli incontri che abbiamo fatto in tanti viaggi, ma indubbiamente significativi al fine di rappresentarci.

In Pakistan è stato un tripudio di umanità. Lucia ha discusso di mineralogia con un giovane commerciante laureato in materia. Nei mercati, vedendo la nostra propensione ad approcciare le persone con amicizia, tantissimi chiedevano di essere fotografati insieme. Perplessi ma divertiti, i pendolari su un autobus la hanno invitata a salire, e come resistere al fascino di introdursi nella cabina di uno dei fantastici e coloratissimi camion. Dai kailash abbiamo passato diversi giorni, stringendo anche amicizie confidenziali, e la professoressa non poteva certo mancare di interessarsi riguardo all’insegnamento in una scuola di bambini. Nei paesini sperduti tra i monti abbiamo conosciuto persone incredibilmente accoglienti, dalle più semplici a quelle desiderose di studiare, ma tutte generose nel donarsi e donare quel poco che avevano da offrire. I colori, al pari della musica, sono un’attrazione irresistibile per Lucia, e infatti non ha resistito a chiedere uno scatto insieme a una coppia di pellegrini con barba e capelli arancioni. Dai cercatori d’oro su un fiume, un bambino le ha stretto la mano, senza apparente motivo alcuno, e non voleva staccarsi. Presso una famiglia contadina di osservanti mussulmani, Lucia ha avuto un intimo colloquio privato con le donne ed è riuscita a farsi fotografare tra di loro senza che indossassero il burka. Particolarmente suggestivo è stato l’incontro di due donne in una moschea, madre e figlia; non saprò mai neppure io cosa si sono scambiate tra loro, di certo c’è solo che la ragazza si è perfino tolta l’hijab per farsi fotografare insieme a Lucia. Non poteva certo mancare di stringersi tra le tessitrici di tappeti tradizionali pashtun, e infine eccola tra i colossali ranger a difesa della frontiera con l’India i cui sguardi imperturbabili non hanno retto al confronto di un ingenuo sorriso.

Ma in ogni luogo ci può essere l’occasione per festeggiare la vita. Così ecco la Lucia che balla ad una festa di matrimonio in un paesino montano dell’Azerbaijan, trascinata dalla madre della sposa a scatenarsi nella danza; trascinata, oddio, non è che poi abbia opposto alcuna resistenza all’invito, per altro come è accaduto molte altre volte. Ne ricordo una in particolare, eravamo in Kyrgyzstan e stavamo visitando una cooperativa di donne che producono tappeti partendo dalla tintura dei filati con colori naturali; francamente non so cosa si raccontassero e in quale linguaggio, di fatto dopo un po’ che stavo ammirando quei capolavori artigianali, mi volto e vedo le due coetanee a ballare sui tappeti in produzione.

Tutto può essere fonte di gioia, anche un caffè caldo preso da un ambulante in Libano durante una pesante giornata di interessanti visite a monumenti storici.

In Moldavia è saltata sulla palla di cannone del barone di Münchausen, giusto per scuotere un po’ una tranquilla giornata invernale, ed ha stretto amicizia con una simpatica signora che parla italiano e con la quale si scrivono regolarmente. Invece purtroppo non abbiamo più notizie della babushka ucraina dove siamo stati ospiti durante i giorni trascorsi a Chernobyl; dopo lo scoppio della guerra le missive di Lucia sono rimaste lettere morte, ma ancora oggi speriamo che la simpatica signora si sia salvata e che un giorno possiamo tornare a trovarla.

E in Indonesia, malgrado la situazione sanitaria disastrosa in cui mi trovavo, ha trascinato mia sorella in una risata sfrenata, efficacemente positiva, che ha sdrammatizzato il difficile momento.

Nel Tibet l’indole di Lucia ha trovato un campo facile in cui seminare gioia. I tibetani sono generalmente mansueti, gente semplice e cordiale che non teme gli stranieri. Specialmente fuori dai grandi centri le persone si lasciano avvicinare con delicatezza e i ragazzi amano farsi fotografare insieme agli estranei. Un momento divertente è stato quando, durante l’ascesa al monte degli asceti, ho visto apparire Lucia mano nella mano con una monaca che la stava aiutando nel difficile percorso: l’anziana signora se la rideva sonoramente nel vederci distrutti dalla fatica mentre lei sembrava appena partita. Comunque a Lucia sono rimaste impresse due sorelle in pellegrinaggio ad un monastero. Oltremodo timide, si erano avvicinate con discrezione per curiosare il display della macchina fotografica. Ancora oggi quando rivede quella foto si rammenta della dolcezza di quelle ragazzine.

E a proposito di timidezza, come dimenticare le ragazzine yazide con il volto butterato in Iran che sembravano quasi vergognarsi del padre, un pastore che stava scuoiando un agnello per una festività. In effetti l’Iran è stata una bella sorpresa per l’umanità che abbiamo incontrato. Non possiamo dire di avere finito di percorrere un marciapiede senza che qualcuno ci avesse salutato. Presso un vecchio lavatoio restaurato Lucia fece amicizia con un gruppo di signore che si contendevano una fotografia insieme a lei. Possiamo definirla amicizia quando le persone non riescono a dialogare a causa della lingua? Esistono molti modi per comunicare, ma innanzi tutto occorre la volontà di farlo e il rispetto per tutto ciò che è “diverso”. Non tutti gli incontri sono sinceri e nel Kurdistan iraniano un anziano signore dagli occhi furbi celava il gesto poco amichevole di toccare il sedere a Lucia con la scusa di una fotografia; per fortuna lei ha l’intelligenza di capire che ogni tanto capita anche di incontrare dei “miseri poveretti”. Invece in quella regione abbiamo avuto la fortuna di essere ospitati per un pomeriggio nella casa di una famiglia di contadini. Gironzolavamo per un paesino sperduto nel nulla in cui la nostra guida non voleva neppure fermarsi, ed ecco che delle donne ci invitano nella loro casa offrendo generosamente quel poco che avevano. Seduto sui tappeti, a piedi scalzi, mi sono divertito moltissimo a vedere Lucia che conversava con loro in una lingua che era solamente loro, probabilmente irripetibile.

Al contrario di tante occasioni, non è stato facile “rompere il ghiaccio” in Transnistria. I due gestori del poligono di tiro non erano proprio convinti di farsi ritrarre, ma alla fine anche loro hanno compreso che eravamo andati soltanto per provare l’esperienza di imbracciare le armi militari, e anche loro sono stati al gioco. E per ironia o autoironia, vedetela come volete, non poteva mancare uno scatto con una statua dorata di Lenin in versione patriarcale.

In Tajikstan la ho vista abbracciata ad una venditrice di pane in un mercato al coperto, eppure la donna aveva appena rifiutato di farsi fotografare da sola tra le pagnotte.

Alle Svalbard una ragazza russa emigrata ci ha portati in una miniera di carbone ancora attiva. In pochi piacevoli giorni siamo diventati amici ed è stata anche nostra ospite quando è venuta a visitare il nostro paese.

Anche in Cina abbiamo sempre trovato le porte aperte per fare nuove amicizie. Lucia ha perfino chiesto e ottenuto di farsi fotografare con il contadino che aveva scoperto il famoso esercito di terracotta. Ma forse la scenetta più divertente è stata quella all’uscita delle grotte dei mille Buddha, con le due anziane signore che ci rincorrevano per cercare di vendere delle uova di pietra. Parlavano continuamente in cinese, quasi ignare che non potevamo capire, e noi proseguivamo la conversazione in italiano, coscienti che non avrebbero compreso. Alla fine una sonora risata ha sbaragliato il campo e ovviamente abbiamo comprato le uova di pietra. E tra gli uiguri non è possibile dimenticare la sosta per strada alla venditrice di gioielli falsi che tentava spassionatamente di spacciare monili di plastica per pietre preziose; io la ho sgamata subito, ma Lucia che ha il cuore tenero non poteva lasciare la poveretta insoddisfatta, e la collana posticcia ogni tanto la indossa ancora.

Concludo questa carrellata densa di aneddoti con l’Iraq, un altro paese dove abbiamo incontrato un popolo cordiale. Ovunque ci è stato offerto del tè quale simbolo di amicizia, e i bambini chiedevano sempre di farsi fotografare insieme a noi. Ma la più bella foto che abbia mai fatto ad un compagno di avventure è quella a Lucia mentre, in uno slancio istintivo, abbraccia lo ziggurat di Ur: “la felicità”, come lei stessa la chiama, la felicità di essere lì, in quel luogo lontano studiato solo sui libri, la felicità di abbracciare un pezzo di storia dell’umanità.

Quante fantastiche storie di persone incontrate, quanti bellissimi luoghi scoperti e visitati, quanti meravigliosi ricordi…