Continuiamo a risalire il Paese e dopo centoventi chilometri di strada facciamo tappa a Samarra.

Nell’835 l’ottavo califfo abbaside decise di spostare la capitale da Baghdad a Samarra. L’operazione costò una cifra sbalorditiva anche per le ricche casse del califfato e richiese il coinvolgimento di migliaia di artigiani. Si narra che la città fosse una delle più sontuose metropoli dell’emisfero boreale, La Moschea del Venerdì era la più vasta di tutto il mondo islamico, ma oggi rimangono solo le mura esterne. A fianco della moschea venne eretto un particolare minareto alto cinquantadue metri a forma di spirale su cui è ancora possibile salire. E noi saliamo. Saliamo su per gli ampi gradini a chiocciola che si restringono di giro in giro. La leggenda vuole che il califfo ad opera ultimata abbia voluto percorrerla per la prima volta con il suo asino bianco. In vetta l’aria è frizzante e gira un po’ la testa. In tutto il minareto non vi è alcuna protezione, ma forse, al di là dei timori che certe volte ci frenano, questo è proprio ciò che la rende ancora più affascinante.

Sessanta chilometri a nord di Samarra ci fermiamo ad un monumento commemorativo di cui ignoriamo il significato. In lontananza si scorge Tikrit, la città che ha dato i natali al condottiero Saladino nel 1173 e al dittatore Saddam Hussein nel 1937.

Fino all’ascesa al potere di Saddam, Tikrit era poco più che un villaggio, ma da quel momento subisce un repentino sviluppo con la costruzione di fabbriche e palazzi grazie ai capitali che affluiscono dai membri del governo e della guardia repubblicana scelti da Saddam sulla base di una fiducia attribuita quasi esclusivamente ai membri della sua famiglia e della tribù di appartenenza.

La città ha subito pesanti bombardamenti dagli alleati durante l’occupazione militare del 2003 poiché si credeva che fosse una roccaforte della resistenza irachena. E nel 2014 è anche caduta nelle mani dell’ISIS, ma dopo duri combattimenti l’esercito regolare iracheno è riuscito a riconquistarla e oggi è spopolata. A guardarla da lontano sembra una città fantasma, ma Sajad ci spiega che è controllata dall’esercito ed è impossibile avvicinarsi; probabilmente si tratta di una misura restrittiva per evitare qualsiasi rifiorire nostalgico o ogni sorta di venerazione.

Malgrado la distanza dove ci troviamo, mentre alzo l’obiettivo per scattare una fotografia, l’angoscia si impossessa nuovamente del nostro amico iracheno che, terrorizzato, corre a nascondersi nella jeep. Non sono turbato dalla sua paura che riconosco e giustifico avendola già vista negli occhi delle guide di tanti altri Paesi assoggettati a regimi militari. Piuttosto sono incuriosito da ciò che pensa, o meglio che pensano i giovani della fine di Saddam. Lui ricorda a malapena la dittatura perché era un bambino, ma il suo giudizio è tranchant: poteva rimanere vicino al suo popolo e alle sue truppe invece di scappare a rifugiarsi in un buco come un topo.

Riprendiamo la marcia e in altre tre comode ore raggiungiamo Mosul. Alloggiamo nella zona nuova della città, chiamata così non perché è sorta recentemente, ma soltanto perché è stata risparmiata dalla guerra. Il piccolo hotel moderno ha ampie stanze nelle quali trova posto l’immancabile enorme divano in stile sontuosamente barocco che evidentemente simboleggia il lusso nella cultura mediorientale, visto che campeggia onnipresente ovunque sia possibile. Dal bagno proviene un odore inconfondibile di fogna ed entriamo in apnea per lavarci. Peccato che a rovinare il bisogno di riposo dopo una giornata intensa di viaggio ci sia quel faro puntato appositamente sulla finestra che sta proprio al fianco del letto. La tendina è un velo trasparente, così avvolgo la testa in una maglietta per cercare un po’ di oscurità. Ci sono persone che godono alle scomodità, gli sembra che il viaggio sia più avventuroso, altre invece non possono rinunciare alle comodità, perché altrimenti non sentono di essere stati bene. Noi siamo abbastanza disinteressati, o forse troppo addestrati a qualsiasi situazione; ciò che conta è esserci, e per tutt’altri motivi.