È una giornata limpida, la temperatura è leggermente salita e non ci dispiace scaldarsi un po’ al sole mentre attendiamo la guida che ci condurrà all’interno della Grande Moschea di Kufa.
La moschea è stata edificata nel VII secolo ed è una delle più antiche al mondo, ma soprattutto è uno dei luoghi più sacri per gli sciiti poiché qui fu assassinato Alì, nipote e genero di Maometto, avendo sposato la figlia Fatima. Il colpo di spada dalla lama avvelenata infertogli dal sicario è il gesto simbolico che ogni anno gli sciiti più integralisti compiono flagellandosi a sangue durante la cerimonia di ricorrenza dell’ashura.
Anche qui è severamente vietato introdurre macchine fotografiche, ma oramai siamo rassegnati a questa “punizione”. Naturalmente però è ammesso portare all’interno il cellulare, e tutti sono impegnati a ritrarsi, come se fosse una testimonianza di fede. Ma oramai è noto che le persone sentono di esistere solo se pubblicano sui social network le prove di essere stati in un determinato luogo. E anche qui non fa eccezione, ecco, quando si dice gli effetti della globalizzazione. Però l’atmosfera del santuario è totalmente diversa da Karbala, si sente che questo è un fertile centro di studi e ricerche. Addirittura veniamo invitati e ricevuti da un gentilissimo imam che ci ospita nel suo appartamento privato e insiste per farci dono di alcuni testi sul santuario e sulla fede.
Oggi è un’altra giornata tutta dedicata ai santuari, del resto come evitarli visto che, al di là della bellezza artistica, rappresentano un aspetto rilevante della cultura socio-religiosa del Paese, così in meno di un’ora raggiungiamo Najaf.
Abbiamo soprannominato il nostro giovane autista Hasan “belli capelli” a causa di una improbabile acconciatura a cui tiene moltissimo. È la moda irachena del momento che potremmo definire come un misto tra una pettinatura laccata alla Rodolfo Valentino sormontata da un ciuffo ribelle alla Elvis Presley che arriva quasi al tettuccio della jeep. Ovunque sia possibile si ferma per acquistare bevande energetiche gassate. Lui dice che gli occorrono per essere più vigile nella guida, ma noi lo avvisiamo che se continua così non arriverà ai trenta anni.
A Najaf entriamo in una zona altamente sorvegliata. Sajad paga il corrispettivo di una camera ad un albergatore per farci salire all’ultimo piano dell’hotel ad ammirare dall’alto il più grande cimitero del mondo. Le tombe, ammassate alla rinfusa e senza alcun criterio architettonico, si perdono all’orizzonte. Nei seicento ettari di terreno che occupa sono ospitati anche diversi Profeti, ed è per questo motivo che molti sciiti iracheni ambiscono ad essere sepolti in questo incredibile luogo.
All’ingresso del cimitero è un susseguirsi di mezzi di ogni genere che trasportano bare. Le casse arrivano sulle auto, sui carretti e perfino sugli autobus. Però prima di procedere alla tumulazione vengono trasportate con un servizio gratuito di mezzi speciali dentro il mausoleo per l’ultima visita alla tomba di Alì Ibn Abi Talib.
Entriamo anche noi nella moschea considerata dagli sciiti, dopo Mecca e Medina, il terzo posto più sacro dell’Islam. Il primo impianto fu edificato nel 977 sul mausoleo di Alì, e in seguito fu distrutta, ricostruita e ampliata in diverse epoche. Anche qui troviamo uno sfarzo di decori islamici inimmaginabile che adorna le gigantesche sale. Esserci vuole dire rendere omaggio, in ogni modo, e le persone passeggiano discutendo, si inginocchiano per pregare, leggono i testi sacri, sono perfino distese a dormire. E noi, profani ma non sacrilegi, siamo tra gli otto milioni di pellegrini che ogni anno visitano questo luogo.