Il buzkashi, noto anche come "kokpar", è uno sport equestre tradizionale dell'Asia centrale che viene considerato lo sport nazionale dell'Afghanistan e del Kazakhstan, ma è anche praticato in Tajikstan e in Kyrgyzstan.
Il nome significa letteralmente "acchiappa la capra", ed è giocato su un grande campo la cui lunghezza può variare da cento a quattrocento metri circa.
Tradizionalmente il gioco veniva praticato come "tutti contro tutti", ma poi venne riformato con la suddivisione in due squadre di cavalieri (chapandoz) che si fronteggiano con lo scopo di impadronirsi della carcassa di una capra (boz) riempita di sabbia e di lanciarla oltre una meta predefinita.
Il gioco è sostanzialmente violento, nel senso che non esistono particolari regole, o quantomeno non esistono regole scritte, e nello scontro, ad esempio, è concesso colpire il cavaliere avversario o il suo cavallo con il frustino, ma anche spingersi e strattonarsi reciprocamente, e ovviamente sono frequenti gravi infortuni causati dagli urti e dalle cadute da cavallo.
L'origine di questo gioco sembra risalire ai tempi della prima invasione dei Mongoli di Gengis Khan. Si racconta che i prigionieri che venivano catturati in battaglia, fossero posti in mezzo ad uno spazio piuttosto vasto come oggetto di contesa da parte dei soldati, e il cavaliere che riusciva ad afferrare l’uomo dopo una sfrenata corsa, si aggiudicava il possesso del prigioniero. In tempi più recenti l'oggetto della cruenta lotta era la mandria del nemico, ma sotto il regime dei talebani il buzkashi fu proibito, ritenendolo immorale, e solo in seguito alla caduta della dittatura si è ripreso a praticarlo.
Dopo un intero giorno di una tappa di trasferimento in jeep, siamo a riposare sul bellissimo lago Songkol, situato a oltre tremila metri di altitudine nel versante kyrgyzo della catena montuosa del Tien Shan.
I monti circostanti si riflettono su uno specchio d’acqua cristallina e, immersi nel silenzio di una natura incontaminata, abbiamo l’impressione di trovarci su un altro pianeta. Qui le uniche costruzioni esistenti sono le gher dei nomadi che spesso ospitano i pochi turisti che raggiungono le sponde di questo gioiello nel cuore del Kyrgyzstan.
Un temporale passeggero sembra divertirsi ad increspare l’acqua, altrimenti così calma da sembrare piatta, e per ripararci infiliamo nella gher della signora Diana che ci ospita nel suo piccolo campo attrezzato. Una tazza di tè bollente ci mette tutti di buon umore, e con un sorriso entriamo subito in sintonia.
Attaccata ad un palo della gher noto una foto quasi sbiadita che ritrae un gruppo di cavalieri intenti a strattonarsi e immediatamente mi sovviene il ricordo di quel gioco che avevo letto su un libro di viaggi. Diana mi spiega, con uno zoppicante inglese che stento a decifrare, che suo marito ha insegnato al figlio a cavalcare fin da bambino, e che adesso Andrey, poco più che adolescente, si cimenta in una squadra di buzkashi.
Mostro spudoratamente tutto il mio interesse, e lei, gentilissima, mi spiega che il buzkashi viene tradizionalmente giocato durante il Novruz, ovvero i giorni di festa che celebrano l’arrivo della primavera quale rinnovamento della natura. Poi, quasi a gesti, mi fa capire che volendo nel pomeriggio, pioggia permettendo, la squadra del figlio si allenerà in un appezzamento di terreno non distante. Detto, fatto, e appena finito un bel piatto fumante di lagman (tagliatelle fatte a mano con carne di montone e verdure fritte) siamo in sella ai cavalli che ci conducono al campo di addestramento.
Aspettiamo su una collinetta i ragazzi che, trascorsa una breve attesa, appaiono come un esercito di cavalieri nomadi provenienti dal “nulla” delle steppe.
Andrey, avvisato dalla madre, viene a presentarsi, e dopo pochi minuti, la squadra inizia una partita. Questo è un’esercitazione, eppure dalla veemenza combattiva che sembra muovere gli istinti dei cavalieri non resta difficile immaginare quanto sia sentito questo sport, e neppure la competitività nella partecipazione in un evento ufficiale.
Dopo una prima sessione di foto, non soddisfatto degli scatti in lontananza decido, non senza rischi, di muovermi dietro uno dei cumuli di terra dove viene gettata la carcassa della capra. Voglio inquadrare bene il volto dei giocatori, specialmente durante lo sforzo di arrivare alla meta con il frustino tra i denti, e il risultato è indubbiamente fantastico.
Terminata la partita Andrey viene a salutarmi. Lo ringrazio molto per l’opportunità di aver assistito alla partita e gli chiedo delle informazioni riguardo agli altri giochi che vengono praticati durante il Novruz. Con poche parole, da vero nomade, rimonta in sella e dopo un breve scambio con i suoi compagni, inscenano senza risparmio di energie un altro paio di competizioni.
Nella prima due cavalieri a torso nudo tentano di disarcionarsi a vicenda con l’ausilio delle sole braccia a spinte e strattoni. Nella seconda, invece, con una sorprendente agilità e abilità, i cavalieri si sfidano a raccogliere da terra una banconota mentre il cavallo è in corsa. Avevo solo sentito i racconti di questa incredibile acrobazia, adesso ne ho la testimonianza.
Tornati all’accampamento mi siedo su un tronco al margine del lago. Il sole sta tramontando dietro le cime che svettano sulla sponda opposta. La quiete sembra regnare sovrana e ho l’impressione di toccare il cielo con un dito. Ho ancora negli occhi le immagini della partita, e penso che la meraviglia di un viaggio, in fondo, è anche quella di non riposarsi davvero mai: il mondo è davvero bello in tutto ciò che ha da offrire, e dietro ogni angolo c’è sempre qualcosa di inaspettato da scoprire.