La commissione governativa istituita dodici ore dopo l’incidente dovette affrontare enormi criticità dovute alla gravità del problema e alla scarsa esperienza davanti ad un evento nucleare di tali proporzioni.
Dopo una prima valutazione fu richiesto un investimento su larga scala di risorse economiche, scientifiche e tecniche. La prima decisione della commissione fu l’evacuazione di Prypjat, situata a tre chilometri dalla centrale nucleare.
Prypjat era la città costruita nel 1970 per ospitare i privilegiati lavoratori della centrale. La popolazione aveva un’età media di ventisei anni e la città in quel momento contava circa cinquantamila abitanti, di cui diciassettemila erano bambini che nascevano ad una media di mille l’anno.
Il 27 aprile alle ore 13:00 la radio di Prypjat trasmise il seguente annuncio: “A causa dell’incidente avvenuto nella centrale di Chernobyl le condizioni della radioattività nelle aree circostanti non sono buone. Allo scopo di salvaguardare il più possibile la sicurezza e la salute delle persone, i bambini in primo luogo, abbiamo bisogno di trasferire momentaneamente gli abitanti alle più vicine località della regione di Kiev. Si raccomanda caldamente di portare con sé i documenti e gli effetti personali strettamente necessari, e qualcosa da mangiare”.
La popolazione ebbe a disposizione solo un’ora per prepararsi, e non fu permesso di portare nessun animale. Tuttavia le persone non furono informate sul pericolo imminente e non ricevettero nessuna istruzione su come ridurre l’impatto delle radiazioni sulla loro salute.
Milleduecento autobus e tre treni speciali con millecinquecento posti a sedere ciascuno arrivarono da Kiev. La procedura di evacuazione coinvolse duemilacinquecento poliziotti e iniziò alle 14.00 del 27 aprile; durò solo tre ore: alle 17.00 la città era completamente vuota, una città fantasma.
L’evacuazione temporanea di tre giorni, come era stato detto, divenne permanente, e nessuna famiglia fece più ritorno alle proprie abitazioni. Nell’arco di un mese morirono, dilaniati da immani sofferenze, circa trecento persone tra tecnici e vigili del fuoco a causa dell’esposizione diretta alle radiazioni.
Intanto il reattore continuava a bruciare ad una temperatura di milleottocento gradi, e nell’atmosfera c’erano circa 700 Roentgen, ma i contatori Geiger in uso a quel tempo arrivavano a segnalare solo fino a 3,6 Roentgen; con 1,5 dovrebbe essere ordinata l’evacuazione immediata. I Rem, invece, sono la quantità di radiazioni assorbite dal corpo umano e si suppone che il corpo umano possa sopportare indenne fino a 0,5 Rem, pari a circa 25 RX. I tecnici e gli operai di Chernobyl hanno assorbito da 400 a 1.500 Rem.
I più fortunati rimasero invalidi a vita, ma la maggior parte morì nell’arco di poche settimane e solo in pochi arrivarono a resistere per un massimo di due anni.
Durante la critica fase del disastro le persone contaminate vennero ricoverate immediatamente negli ospedali di Kiev oppure trasportate in quelli di Mosca. Quattrocentocinquanta brigate mediche composte da seimila dottori e infermieri fornirono nell’immediato assistenza nelle zone maggiormente contaminate. In quei primi giorni i medici analizzarono centomila radiografie alla tiroide e altrettante analisi del sangue.
Eppure mentre i sanitari lottavano per salvare vite umane, gli ufficiali medici dell’esercito cercavano di nascondere gli effetti provocati sull’uomo dalla tragedia. Lo stesso ministro della Sanità ucraino stabiliva parametri Rem di sicurezza ben superiori rispetto a quelli consolidati dalla comunità scientifica internazionale.
Intanto la sindrome da radiazioni dilagava, e i casi di cancro alla tiroide, specialmente nei bambini, crescevano in modo esponenziale. I pericolosissimi radionuclidi si concentrano in differenti parti del corpo: lo iodio nella tiroide, lo stronzio nelle ossa, il cesio nei tessuti molli, e tutto ciò portò a contaminare l’intero corpo umano.
A maggio del 1986 vennero evacuati altri novantunomila abitanti residenti in settantasei centri urbani nel raggio di trenta chilometri dalla centrale: questi luoghi semplicemente non esistono più e l’area divenne famosa con il nome di “zona di alienazione”.
Quattro check point controllano l’ingresso dell’area di alienazione, e all’interno altri tre check point controllano l’ingresso alla zona maggiormente contaminata. I rilevatori di radiazioni RBP, tutt’oggi in uso ai check point, sono la barriera protettiva alle radiazioni; se la quantità di radiazione supera il livello normale, il rilevatore emette un segnale d’allarme: non si esce dalla zona di alienazione se i contatori non lo consentono. Inoltre i visitatori vengono dotati di un dosimetro che verifica costantemente la quantità di radiazioni sulla persona, un piccolo strumento che deve essere sempre portato al collo in modo visibile per il controllo dei militari.
Nella zona oggi operano circa centoventi tra istituzioni scientifiche e società industriali che, oltre a studiare i fenomeni di mutazione, hanno costruito il nuovo imponente sarcofago a prova di Boeing, concordando però con il governo dell’Ucraina di sfruttare quei luoghi oramai contaminati.
Alla vigilia della nuova repubblica Ucraina, dopo la caduta del comunismo nel 1991, il nuovo governo si ritrovò in difficoltà economiche, e i liquidatori che non ricevevano lo stipendio da mesi razziarono il possibile da Prypjat e dintorni per poterlo rivendere al mercato nero, arrivando perfino a smontare gli ascensori dei palazzi.
L’asilo e le abitazioni, i parchi giochi e gli impianti sportivi, l’ospedale e l’obitorio, i supermercati e i teatri, tutto giace nel silenzio, rotto solo dal crepitio dei passi degli attoniti visitatori. Dopo trentatré anni ciò che rimane è avvolto nelle ragnatele e nel mistero, e dall’alto i palazzi lasciano cadere le lunghe ombre che ammantano la città. Nello stato di abbandono la natura riprende lentamente il sopravvento, la vegetazione sovrasta il cemento, ma ogni forma di vita è inerme o irreparabilmente ammalata