L’inesorabile sveglia non tradisce mai, purtroppo direbbe qualcuno, ma noi ogni volta non esitiamo a scaraventarci giù dal letto perché ogni giorno rappresenta una nuova avventura. Così prima dell’alba siamo già in marcia verso Basrah. Fortunatamente le strade sono tutte in buone condizioni, a parte l’illuminazione che è completamente assente, ma le fosse ai bordi della carreggiata evocano un immaginario di massicci bombardamenti.
La città ha una storia lunga e sofferta. Il primo insediamento di Basrah risale agli anni della nascita dell’Islam quando, su volontà di un comandante arabo, fu eretto un campo fortificato per il suo esercito. Nel tempo ebbe un incremento demografico costante e una notevole attività culturale fino al medioevo quando, prima a causa degli scontri contro gli Ismailiti e poi sotto le invasioni mongole, subì talmente tanti danni da impoverirsi e spopolarsi. La situazione non migliorò sotto i Safavidi e fu solo con l’arrivo degli Inglesi, disposto dalla Società delle Nazioni dopo la sconfitta degli Ottomani alla fine della Prima guerra mondiale, che le cose migliorarono notevolmente. Durante gli otto anni di guerra tra Iraq e Iran (1980-1988) la città fu teatro di durissime battaglie, e infine ha subito un altro duro colpo con l’occupazione nel 2003 durante la Seconda guerra del golfo.
Passeggiamo senza meta nella zona vecchia che sul lato del canale è tutta un cantiere di restauro. La vecchia chiesa cristiana di St. Thomas è considerata una delle più antiche del Medio-Oriente, ma ciò che maggiormente colpisce è l’architettura delle vecchie abitazioni con il primo piano in legno costruito a lisca di pesce.
Nel pomeriggio facciamo un’escursione in battello sullo Shatt al-‘Arab dove sulla sponda opposta all’ex palazzo di Saddam adesso c’è un cimitero di imbarcazioni arrugginite alla deriva. Sorridiamo immaginando cosa ne avrebbe pensato il rais affacciandosi ad uno dei balconi che danno sul fiume.
Abbiamo appena il tempo di una breve passeggiata sul lungo fiume perché ci attendono sei ore di strada per arrivare a Baghdad. Ad una banchina è ormeggiato in bella mostra il vecchio panfilo di Saddam, un altro simbolo del potere alla mercé dei curiosi ai quali oggi, almeno in questo, sono state restituite la facoltà di arbitrio e giudizio. Le persone sembrano rilassate, come se fosse un bisogno dell’animo umano quello di buttarsi alle spalle una storia recente così disastrosa. I bambini si fanno fotografare davanti ai cartelloni pubblicitari della Coppa del Golfo di calcio che in questi giorni per la prima volta dopo quarantaquattro anni si svolge in Iraq, un evento sentito come una liberazione, e addirittura incrociamo un poliziotto che, felice di tanto orgoglio, è disposto a farsi fotografare insieme a noi.
Mentre siamo in viaggio ci coglie nel buio un bagliore in lontananza: sono le ciminiere dei pozzi del gas che rigettano il fuoco. Gioie e dolori, fortuna e sfortuna, il petrolio e il gas sono le maggiori risorse di questo Paese, e proprio per questo anche la mira di tante Potenze straniere.