Le strade di Yazd sono completamente deserte la mattina all’alba. Sono le sei, l’aria è fresca e mentre cammino tranquillamente lo sguardo viene rapito dalle sagome di due splendide torri del vento che svettano tra i tetti delle abitazioni, e ripenso alla genialità con cui sono state progettate per rinfrescare gli ambienti.

In Piazza Amir Chakhmaq uno spazzino mi indica con la solita squisita cortesia iraniana il vicolo che sto cercando, proprio dietro l’omonima moschea dove ieri una folla di turisti era ammassata per scattare fotografie.

Finalmente vedo lo striscione appeso al muro, si chiama Fight Club, la Zorkana è qui e provo ad entrare nell’angusta porticina per vedere se mi lasciano assistere ad un allenamento.

Scendo le scale che conducono al sottosuolo e Amir mi saluta con atteggiamento spavaldo, e l’aria di chi si è appena svegliato. Dopo alcune domande di rito, tipiche ad uno straniero che si è appena introdotto nella propria casa, il proprietario mi offre un tè e dei datteri freschissimi, concedendomi il permesso di restare nella palestra e fotografare.

La zurkhaneh, originariamente nata come accademia di educazione militare e conosciuta anche come sport degli eroi, è una disciplina di ginnastica e lotta tradizionale persiana che combina elementi antichi e islamici, e dove fisico, mente e spirito vengono utilizzati all’unisono.

A seguito delle numerose invasioni succedutesi nella storia e della caduta dell’impero persiano e l’ascesa del potere islamico, i patrioti iraniani furono costretti a riunirsi clandestinamente in sale nascoste nei sottosuoli dove praticavano anche questi esercizi fisici.

Il mito vuole che i pahlevan, gli atleti, incarnino la lotta contro le forze del male, e a loro è richiesta purezza d’animo e integrità morale, sincerità e temperanza, forza fisica e solidarietà reciproca, mentre contemporaneamente vengono promossi valori etici quali l’umiltà, la generosità, l’onestà, la carità, la pietà, il rispetto dell’ambiente e della legge.

Al centro della sala c’è un pozzo circolare di circa dieci metri di diametro e profondo circa un metro dove gli atleti si allenano ed esibiscono nelle manifestazioni.

Alle pareti sono attaccate le foto di famosi pahlevan e le immancabili immagini degli Ayatollah Khomeini e Khamenei.

Lateralmente c’è una piattaforma rialzata da dove il morshed conduce le sessioni intonando canti epici e recitando versi e preghiere dedicati al profeta Alì – cugino e genero di Maometto considerato dai musulmani sciiti il primo Imam - al ritmo di un tamburo e intervallando l’inizio e la fine di ogni esercizio con il suono di una campana.

Tutto sembra svolgersi come un rituale codificato. Gli atleti entrano nella fossa a piedi nudi e pantaloncini – una volta indossavano solo dei parei che coprivano i fianchi e giravano tra le gambe –, portando in vita una grossa cintura di cuoio per dare supporto alla schiena, e rispondono durante tutta la seduta di addestramento alle incalzanti invocazioni del morshed.

Il riscaldamento consiste in piccoli salti sul posto e movimenti con le braccia. Poi iniziano le flessioni con il takhte, la barra di legno su cui si appoggiano a terra. Successivamente i mil, pesi in legno a forma di clava che raggiungono anche i cinquanta chili, vengono fatti roteare attorno alle spalle. Ad un certo punto i pahlevan formano un cerchio all’interno del quale entrano uno alla volta per ordine di età e cominciano a girare su stessi come i dervisci rotanti per alcuni minuti fino a quando, senza mai perdere l’equilibrio e il controllo, si rivolgono al morshed per concludere il proprio turno. Un altro esercizio consiste nel sollevare il kabbadeh, un grosso arco di ferro su cui è attaccata una catena e dei dischi metallici, sopra la testa sia imbracciandolo, sia con una sola mano mentre l’altra sorregge la catena. Con la schiena a terra, invece, viene impugnato il sang, i due scudi di legno che sono sollevati insieme e in alternanza mentre le gambe inarcate si spostano a destra e sinistra. Infine ha grande importanza la lotta che i pahlevan affrontano confrontandosi due a due utilizzando varie tecniche offensive e difensive, e diversi stili mutuati da differenti discipline di lotta esistenti nel mondo.

Ci sono situazioni dove non è necessario capire cosa viene enunciato, e non ha neppure senso chiedersi la motivazione perché la magia della scoperta, la spiritualità dell’esperienza che si sta vivendo è già una risposta emozionale che ci riempie l’animo di umanità e arricchisce la conoscenza del mondo che ci circonda.